1980. Bjorn Borg (Sverrir Gudnason) e John McEnroe (Shia LaBeouf) si stanno preparando ad affrontare il torneo di Wimbledon. La tensione psicologica è fortissima: ci sono ottime probabilità che per la prima volta si incontrino sul campo centrale in una finale che sta accendendo le scommesse e le fazioni dei tifosi.
Partendo da questa tensione il regista Janus Metz – con la sceneggiatura di Ronnie Sandahl – costruisce un film mozzafiato, capace di riaccendere le passioni di chi ha assistito a quell’incontro (ero piccoletta ma me lo ricordo bene, soprattutto il tifo a casa di papà e amici) o di chi conosce la mitologia che fa di Borg-McEnroe il Giano Bifronte della storia del tennis. Il biopic di Metz rievoca un’era dello sport in cui i giocatori di tennis erano delle vere rockstar – ci sono Vitas Gerulaitis, Peter Flemming e Jimmy Connors – e in cui John e Björn emergevano come le stelle più grandi, coccolate dall’attenzione del pubblico e degli sponsor.
Sono due atleti all’apparenza diversissimi, che scoprono di avere in comune più di quanto li separi, e che diventano – da quel 1980 – grandi amici.
Bjorn Borg ha già infranto dei record, può vincere Wimbledon per la 5° volta consecutiva a soli 24 anni; McEnroe è l’astro emergente, il giovanissimo numero due che sembra l’unico in grado di contrastare il dominio dello svedese.
Sono entrambi molto nervosi. Bjorn soffre la pressione, vuole continuare ad essere il numero uno, e contrariamente a quello che dall’esterno viene percepito, non è assolutamento un uomo di ghiaccio. Viene da una famiglia proletaria ed ha un passato come ragazzino che non controlla il carattere in campo, valendogli rammanzine e squalifiche fino a quando – grazie al mitico allenatore Lennart Bergelin che per primo intuisce le sue potenzialità, facendolo entrare nella squadra svedese di Coppa Davis- riesce a introiettare la rabbia per farla esplodere solo sotto forma di gioco martellante. John è il ben educato e istruito figlio di una famiglia ricca, ma sul campo è diventato famoso per i suoi show caratteriali e gli insulti al pubblico e agli arbitri; sconfiggendo Borg vuole affermare il proprio talento, messo in ombra dalle intemperanze.
Per esplorare il tumulto interiore di Björn e John, il film fa uso di una fotografia cruda, che ha i colori della nostra memoria. Metz usa molto la camera a mano e la steady-cam per trasmettere un senso di immediatezza e realismo. A questo si contrappongono sequenze che hanno la grandiosità del film storico e immagini che creano un’atmosfera simbolica per sottolineare un unico punto: dopo la finale di Wimbledon del 1980, il tennis non fu più lo stesso.
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