Un’amica ha commentato il mio rinnovato slancio nei confronti del correre con un “come fai con questo caldo”. Primo: durante l’estate ho la fortuna di frequentare posti naturalisticamente più favorevoli di un parco cittadino. Secondo: per correre sono disposta ad alzarmi all’alba, quando la temperatura percepita è accettabile. Terzo: non ho preso in considerazione l’arrivo della fatidica prova costume fino a quando ho dovuto infilarmene uno per la prima volta (ieri).
Oggi, quindi, sono in vacanza e posso correre al mare. Ho talmente voglia di fare un giro – prima che il sole mi faccia decomporre le forze e i pensieri – che faccio finta di non ricordarmi come mi sento ogni anno.
Andare a correre al mare mi fa sentire un bradipo. Mi si azzera il battito cardiaco e trascino una cavigliera da dieci chili per gamba. Poi arrivo sulla riva, tra gli scogli e sono felice. C’è ancora silenzio.
Questa mattina alle sette c’erano già i vecchi signori dei bagni in mare. Li incontro tutti gli anni: sono un’allegra brigata di coppie miste ultrasessantenni. Portano in spiaggia sacchetti pieni di focaccia alla cipolla e prosecco per ristorarsi dopo una lunga nuotata.
Ogni anno, quando passo, mi chiedono se voglio unirmi a loro ed io ogni anno declino l’invito, pensando che subito dopo mi aspetta una salita di un chilometro e circa centocinquanta metri di dislivello.
Questa mattina però ho pensato che non ho proprio capito niente e domani, sotto la tutina, mi metterò il costume. Occhialini e cuffia possono stare nel marsupio e la salita posso sempre affrontarla molto (molto) lentamente, dopo aver accettato quel famoso bicchiere.
Forse è vero che correre al mare fa bene: in fondo, basta adattarsi all’ambiente.