Vieni da una famiglia numerosa? Allora sai che la famiglia può essere una ricchezza ma anche un luogo dove combatti aspramente per farti spazio e far valere le tue ragioni.
La casa delle estati lontane, film d’esordio della regista franco-israeliana Shirel Amitaï, racconta di tre sorelle che si ritrovano dopo la morte dei genitori per decidere la vendita della casa ricevuta in eredità.
Le protagoniste rappresentano tre generazioni di donne che hanno rispettivamente ventidue, trentadue e quarantadue anni. Darel (Yaël Abecassis), la sorella più grande, ha già due figli grandi e vuole tenere la casa perché è legata ai ricordi di famiglia e alla sua infanzia. Appena arrivata comincia a cucinare e a farla diventare il suo regno, proteggendola dalle sorelle che vogliono liberarsene. Cali (Géraldine Nakache) è la seconda e si è appena sposata. Deve costruire la propria vita e arriva con una certezza assoluta: «Voglio vendere, non voglio avere niente a che fare con questo paese, non lo amo, non sono mai stata bene qui, nemmeno in questa famiglia peraltro». Dal momento in cui mette piede in casa, però, ogni certezza viene rimessa in discussione. Asia (Judith Chemla) è la più piccola e la più spirituale delle sorelle. Sembra quasi che sia un’anima smarrita che non sa ancora dove posarsi. Si dedica allo yoga e vuole vendere la casa solo per potersi permettere un corso di medicina ayurvedica in India. Guarda il mondo con curiosità, mantenendo uno sguardo innocente, ma alla fine il suo carattere le permette di rielaborare quello che accade e cambiare più facilmente le sue posizioni. Le tre sorelle rappresentano altrettante tappe della vita di una donna.
Le dinamiche tra caratteri così diversi possono essere molto violente e in una famiglia può accadere di sentirsi feriti. A volte è una vera guerra, anche di luoghi. Tra fratelli o sorelle si è costretti a condividere tutto. Se i primi conflitti iniziano da piccoli con la frase: «È mio!», un’eredità probabilmente è l’ultima cosa che ci si divide. La pace diventa possibile quando “è mio”, si trasforma in “è nostro” o in “è tuo”.
La casa delle estati lontane non è solo una commedia familiare. Shirel Amitaï ambienta il racconto a Atlit – una piccola città costiera a sud di Haifa – nel 1995, in un momento storico in cui Israele è a un soffio dalla pace grazie agli accordi con l’OLP. Le sorelle si prendono per i capelli mentre tutto il paese parla di pace. Quando il 4 novembre 1995 – con l’assassinio di Rabin – il processo di pace viene annientato, Darel Cali e Asia si ritrovano mentre tutti perdono la speranza. La vicenda storica – cupa e soffocante – compenetra con delicatezza la vicenda personale. Nonostante la politica abbia un impatto molto forte sulla narrazione, rimane tuttavia uno scenario che serve a mettere in risalto la storia delle sorelle, spassosa e piena di leggerezza come sa esserlo solo un ambito femminile.
Nella trama non manca un tocco surreale: mentre riaffiorano gli antichi dissapori, strani fantasmi seminano il caos e garantiscono momenti di comicità pura.
I genitori (Arsinée Khanjian e Pippo Delbono) riappaiono in carne ed ossa alle figlie e cominciano a dialogare con loro come se fossero ancora vivi e nel fiore degli anni. La casa sembra stregata: l’impianto elettrico funziona a singhiozzo, gli oggetti buttati via tornano al loro posto, la vecchia televisione trasmette quando vuole, persino l’asinello della loro infanzia torna a fare un giro nel giardino infestato dalle piante. L’invisibile scherza in continuazione creando una confusione allegra ma spiazzante
Perché dovresti vedere La casa delle estati lontane? Perché è un film lieve che non cade mai nella pesantezza psicologica o politica, anche se – sicuramente per analogia – potrebbe farti porre molte domande sulla tua vita, sulle tue origini, sulla tua infanzia e sulla tua casa.
(articolo apparso su donnad.it)