La kermesse di pasticceria Sweety of Milano – giunta alla fine della seconda giornata – si è rivelata veramente il successo che sembrava il primo giorno, dopo cinque minuti dall’apertura delle porte.
Vorrei raccontarvi cos’è successo partendo da una prospettiva: la fattibilità delle ricette presentate nelle masterclass.
Naturalmente i maestri AMPI che hanno parlato sono i migliori pasticceri d’Italia e, in alcuni casi, tra i migliori pasticceri del mondo; naturalmente non è possibile, per un dilettante, raggiungere certe vette di perfezione: tuttavia, le loro spiegazioni hanno gettato squarci di luce sulla difficoltà della pasticceria, valorizzando in maniera puntuale ogni passaggio, ogni insidia, ogni tranello.
I dolci che diamo per scontati, anche se sono capisaldi della tradizione, possono essere di una difficoltà diabolica, nonostante un aspetto semplice al limite del dimesso; altri, cenografici e glamour, possono rivelarsi più essenziali e fattibili del previsto.
La cassata di Santi Palazzolo è inarrivabile (la vedete in copertina): a mio avviso potrebbe rientrare da sola nel patrimonio immateriale dell’umanità. La tradizione è portata all’estremo della competenza. Selezione degli ingredienti, procedimento, calibratura del gusto, tecnica d’esecuzione: la ricerca sulla cassata è talmente capillare che, se non siete professionisti, potete solo farvela spedire. Uno show-cooking di Palazzolo ha il valore di far comprendere al pubblico il valore del lavoro artigianale: la prossima volta che acquisterete una cassata, chiedetevi subito se la pasta di mandorle della bordura è colorata di verde o è vera pasta di mandorle al pistacchio. Il maestro di Cinisi, tuttavia, non è stato per nulla avaro di spiegazioni: la sua è stata un’ora di cultura concentrata, per non parlare della spettacolare rapidità d’esecuzione e della pulizia dei gesti. La cassata rappresenta forma e contenuto che si tengono abbracciati stretti.
Nella presentazione del “Dolce d’Amalfi” di Sal de Riso – che ieri ci aveva incantato con la “Delizia al limone” e che confessa d’essere molto emozionato nel vedere sale e corridoi gremiti, nonostante la notorietà acquisita alla Prova del cuoco – ho contato quattordici ingredienti, con il dubbio di essermene perso qualcuno. Il Dolce di Amalfi è una cupola lievitata, liscia e appena spolverata di zucchero, intensamente profumata d’oli essenziali. Dietro la sua apparenza solare ma compatta, concepita per essere facilmente trasportata dai turisti in visita o per essere spedita al posto di un panettone natalizio, si celano trabocchetti a non finire. Non per nulla è una delle torte di Accademia e si è aggiudicata varie medaglie. Uno dei segreti per la sua riuscita – oltre ai limoni IGP della costa d’Amalfi, che Sal si porta sempre in giro – è una lunga cottura a bassa temperatura, che parte dai 165°C per scendere ogni quindici minuti.
Il simpaticissimo e toscanissimo Paolo Sacchetti ha portato le sue “Peschine di Prato”, palline di pasta brioche profumata all’arancia, imbevute nell’alchermes e accoppiate con crema pasticcera. Posso dire – a ragion veduta, dopo averne mangiate alcune – che danno dipendenza. Nel 1861, per festeggiare l’unità d’Italia, le pesche furono servite per la prima volta in una locanda in piazza del duomo di Prato. Un tempo, per accoppiare la pasta, si usava solo un po’ di marmellata, mentre quello di Sacchetti è un classico dolce all’italiana, come tutti diviso in tre parti uguali: pasta, liquore crema. Tentare di fare le peschine a casa si può, esercitandosi a fare palline di 12 g esatti, imbevute esattamente con 12 g di liquore. Basta un po’ d’esercizio e d’autoironia.
Il picciolo della pesca è una scorzetta d’arancia perché – e questo è l’insegnamento più abbordabile della masterclass – per la decorazione si deve usare sempre uno degli ingredienti presenti nel dolce.
Pasquale Marigliano ha rappresentato la Campania con la sfogliatella. Tra le sue mani il codino d’aragosta si forma in un battibaleno, è siringato di pasta choux in un batter d’occhio e si gonfia in forno in meno di un battito di ciglia. Spiegazioni e dosi precisissime ti fanno venire voglia di provare. Al massimo butti in pattumiera un paio di chili di pasta. E pensare che una sfogliatella riccia ha un aspetto così amichevole.
Lucca Cantarin, esordisce con un: “Facciamo qualcosa che vi divertirà andando a casa”. Così ho scoperto la sua sbrisolona rivisitata, al cioccolato, sbriciolata in una coppetta con crema mascarpone e caffè espresso bollente. Lui giura che il tempo di preparazione è di dieci minuti. Io giurerei su qualche minuto in più ma è vero che, grazie a lui, la platea può portare via dalla masterclass qualcosa di cui vantarsi facilmente in una cena casalinga. Cantarin proviene da una famiglia che opera in pasticceria da 110 anni. È particolarmente attento all’uso d’ingredienti naturali ed è orgoglioso di dichiarare che i suoi capolavori si fondano sul burro. Personalmente, v’inviterei ad assaggiare i suoi biscotti friabili al cioccolato e sale Maldon, una vetta della pasticceria secca: si sciolgono in bocca con la sensazione di un cioccolatino. Il suo consiglio pratico per la giornata è legato proprio al burro: tutti gli ingredienti in pasticceria devono essere usati attorno a una temperatura di 20°C. Il burro si deve poter strappare, non spezzare.
Ultimo della giornata – ma uno dei primi nelle mie preferenze personali – ha preso la parola Gianluca Fusto. Gianluca è giovane ma negli ultimi vent’anni ha viaggiato in tutto il mondo portando a casa un bagaglio professionale strabiliante (è stato anche l’allenatore della squadra vincitrice del campionato del mondo juniores di pasticceria). Molti lo conoscono, giustamente, per la sua interpretazione della crostata. Gianluca è talmente pignolo e scende talmente nel dettaglio che, paradossalmente, è più facile seguirlo rispetto ad altri. Ricordando tutto quello che racconta, hai la sensazione di poterti aggrappare a punti fermi, fondamentali quando prepari un dolce. Le sue crostate sono eleganti e ardite, costruite su forme geometriche precise.
Ci racconta che uno dei problemi più grossi in pasticceria era fare i gusci delle crostate, perché ci vuole molto tempo: eppure, lui spiega volentieri come preparare e surgelare alla velocità della luce tutto il necessario per una crostata moderna. Ecco un condensato delle sue perle di saggezza:
- In pasticceria, gli unici due strumenti necessari sono il tempo e un termometro.
- Scegliete sempre la farina migliore, possibilmente meno raffinata e più profumata.
- Oggi la tendenza è abbassare la temperatura di cottura (165ºC contro i 190º di una volta) per favorire lo sviluppo dei profumi della farina.
- Se avete poco tempo, tenete i dischi già tagliati di pasta frolla nel congelatore; in alcuni casi potete farlo anche con la crostata intera e tagliarne una fetta di nascosto, quando lo sentite necessario.
- Il miele sostituisce lo zucchero invertito, se in una ricetta vi è richiesto.
Sweety of Milano 2015 si è concluso con un fiume di visitatori cui brillavano gli occhi. Pare che potremo contare anche su un’edizione 2016. Credo mi servirà giusto un anno per metabolizzare tutti gli zuccheri ingeriti.
Tutti i pasticceri di cui vi ho parlato in questi giorni hanno scritto fior di libri e continueranno a insegnare anche a noi, poveri profani. Così il girone dei golosi sarà un po’ più vicino.
massj
25 Novembre 2015 at 16:13Meravigliose (le torte)
roberta
25 Novembre 2015 at 16:14Concordo, sono stupende, chissà se sono altrettanto buone