Cucinare e scrivere sono le attività che hanno segnato la mia vita, ma non necessariamente in quest’ordine, anche se – anagraficamente parlando – potrei persino ipotizzare siano nate insieme.
Scrivere e cucinare mi rendono irragionevolmente felice
Saper comporre un piatto – scegliendo la stoviglia più bella, quella più adatta all’occasione e quella perfetta per valorizzare un cibo – qualche volta mi ha portato su un set pubblicitario. Sono sempre state giornate d’amore puro per il mio lavoro e la conferma che, quando fai qualcosa con gioia, le tue capacità hanno il potere di svilupparsi ed esprimersi persino oltre le tue aspettative.
Una professione riconosciuta?
Saper cucinare e saperne scrivere sono diventate, sotto varie forme, una professione riconosciuta. Molti anni fa, una lettrice mi scrisse su Grazia – dove allora tenevo una rubrica – per sapere cos’avrebbe dovuto fare per diventare una giornalista enogastronomica (i food writer erano ancora sporadiche apparizioni oltreoceano e i food blogger erano lontani dall’esistere).
Distinsi chiaramente le competenze richieste: sapere tutto del cibo e acquisire mestiere nel piegare le parole alle proprie necessità. Poi c’è l’attitudine pratica: questa farà la differenza. In base al fatto che tu sia un cuoco o un assaggiatore, la tua scrittura si orienterà in un settore o in un altro. Io, ad esempio, ho scoperto che avere competenze tecniche in cucina creava un paradosso nel momento in cui dovevo dare un giudizio: mi hanno spesso accusata di essere troppo comprensiva o assolutamente spietata, in maniera apparentemente inspiegabile. In psicologia, la mia posizione a cavallo tra una cuoca professionista e una scrittrice mi porterebbe a un bias cognitivo.
Un viaggio creativo
Con riconoscenza, però, posso dire che sia scrivere sia cucinare mi hanno dato la possibilità di compiere un viaggio creativo senza eguali e di godermi il panorama lungo il percorso, senza dare troppa importanza alla tappa successiva. L’unico neo, se vogliamo trovarne uno, è che quando il tuo mestiere prevedere un certo eclettismo, le persone non sanno bene come definirti. Viviamo in un mondo lavorativo in cui sono presenti due spinte contrapposte: la richiesta di specializzazione estrema (spesso al costo di una estrema povertà culturale) e la sete di trovare persone che abbiano un pensiero abbastanza elastico e le competenze per affrontare le nuove sfide.
Cosa ci fai qui?
Sei un turista o un viaggiatore? Sei qui per le ricette e i piatti fotografati? Possiamo tranquillamente parlarne ma sarà sicuramente un discorso lungo – fatto di eccezioni, deviazioni, pedanterie, modifiche a piacere e quanto basta – per scoprire, infine, che la ricetta è poca cosa rispetto al piacere di ascoltare, alla sete di imparare, alla smania di viaggiare con la fantasia.