Amo la Biennale Arte di Venezia almeno quanto lo shopping e i pasticceri. Potete capire l’enormità dell’affermazione.
Ci sono annate buone, annate entusiasmati e annate appena sufficienti ma – per quanto l’esposizione possa essere mediocre – una passeggiata in Biennale è un’esperienza unica.
Per leggere qualcosa di un po’ sensato – artisticamente parlando – vi rimando a quest’articolo più descrittivo che, spero, vi sarà da guida soprattutto se siete dei neofiti e volete provare l’ebbrezza di un’immersione tra Giardini e Arsenale. Nella gallery di OliviaQuantoBasta, invece, vi racconto uno degli aspetti irresistibili di una giornata trascorsa a pensare arte: le persone.
La Biennale, quest’anno – ancor più che in altre edizioni passate – è un grande gioco di scatole cinesi: un bellissimo contenitore in cui troverete istallazioni, spazi pieni e vuoti, in cui agiscono i visitatori. Tutti sappiamo che spesso gli artisti giocano con il pubblico e che il coinvolgimento teatrale è volutamente molto intenso; tuttavia, anche laddove il gioco non è previsto, le persone a volte diventano protagoniste di un gesto artistico o semplicemente esistono e sono belle.
I visitatori della Biennale Arte sono un grande spettacolo. Si tratta di cogliere sguardi e atteggiamenti. In alcuni padiglioni il pensiero dominante sembra essere “non capisco, ma ci provo”. Attraverso spazi deserti e luminosi – apparentemente inutili e forse dedicati allo spaesamento dello spirito, chissà – ho camminato tra i visitatori Che Ci Faccio Qui.
Ho incontrato tante donne. Eleganti signore americane, ragazze attente (spesso sole) e meravigliose eccentriche, come quella che mi ha confessato di aver bevuto un po’ troppo a pranzo con le amiche, ma che stavano trascorrendo una giornata piacevolissima.
Grazie a tutte queste femmine, a tratti, mi è sembrato d’essere in un mall in cui la passione per l’arte ha l’innegabile vantaggio di non essere dannosa alle finanze private e alla linea, giovando immensamente alla cultura. Mi sono imbattuta in signore di mezza età che mettono gli occhiali sulla punta del naso per vedere meglio un particolare, in giapponesi che scivolano nelle sale con sorrisi da Monna Lisa sotto enormi cappelli, in fashioniste e studentesse, in giovani donne bionde da Upper East Side e poi in donne folletto, come quella immobile al centro del padiglione russo, che sembra un’opera di Duane Hanson.
Un pomeriggio ho giocato a rimpiattino con una coppia d’innamorati: lui fotografava lei, davanti a ogni opera. Credo le avrà scattato un milione di ritratti: il volto romantico della Biennale. Un’altra coppia di anziani orientali è rimasta immobile un’eternità, sul belvedere dell’Australia. Il salone della Turchia è stato il palcoscenico per l’involontaria sfilata di un gruppo di trentenni, stacchettanti sulle assi sonore delle Corderie: percorrendo una parete di specchio, non hanno saputo fare a meno di coordinare la falcata e oscillare le spalle a un ritmo che avvertivano soltanto loro.
Ho quasi ucciso un paio di sessantenni polacche che hanno bloccato tutto il Giappone per i selfie, ho avuto voglia di giocare a scacchi con delle ragazze concentratissime nel padiglione belga e avrei abbracciato chi guardava sotto gli alberi semoventi della Francia, per vedere i carrelli automatizzati.
Non so se avete già una buona scusa per voler vistare la 56ª Biennale Arte o se ve ne ho appena fornito una. Non credo sia importante: potete essere semplicemente curiosi. Troverete da soli ciò che fa per voi.