A ridosso del Festival di Cannes 2016, esce nelle sale Al di là delle montagne. Il film aveva valso al regista Jia Zhang-Ke il riconoscimento “Carrosse d’Or”, il premio con cui i registi francesi appartenenti alla “Société des réalisateurs de film” (SRF) rendono omaggio a uno dei loro pari.
Il “Carrosse d’or” è un tributo a un cineasta selezionato tra tutti quelli del mond,o per le qualità innovatrici del suo cinema, per l’audacia e l’intransigenza nella regia e nella produzione.
Al di là delle montagne di Jia Zhang-Ke risponde a tutti queste caratteristiche ma – prima di entrare in sala -devi essere consapevole che stai per vedere un film che parla di Cina moderna, pur discutendo valori culturali universali.
La storia comincia a Fenyang durante il capodanno cinese del 1999. Tao (Zhao Tao) è una giovane donna corteggiata dai suoi due amici d’infanzia, Zhang e Liangzi. I due amici non potrebbero essere più diversi: Zhang (Zhang Yi) possiede una stazione di servizio, è arrogante, volitivo e ha come pensiero fisso arricchirsi il più possibile per andare a vivere lontano; Liangzi (Linag Jin Dong) lavora in una miniera di carbone ed è molto più schivo e silenzioso ma collaborativo e gentile. Tao è a proprio agio con entrambi e non sembra dare troppo peso al sentimento che provano per lei fino a quando non viene messa alle strette da Zhang e – non sapendo chi scegliere tra i due, perché vuole bene a entrambi – lascia che sia in corso degli eventi a decidere per lei. Zhang allontana Liangzi che va a vivere in un’altra provincia e sposa Tao. La coppia, che ritroviamo divorziata in breve tempo, ha un figlio che il padre vuole chiamare Dollar in omaggio al dio denaro e fa crescere come uno straniero tra esclusive scuole internazionali – dove disimpara la lingua cinese – e una nuova vita in Australia. Tao lascia andare il figlio con il padre, ancora abbagliata dalla convinzione che sia in grado si “offrirgli di più” e rimane radicata in una Cina che si evolve rapidissima.
Il racconto copre un quarto di secolo, sviluppandosi tra una Cina che si industrializza e un’Australia del futuro, vista come terra promessa da Zhang ma che è il luogo dove Dollar (Dong Zijian) si scopre dolorosamente senza storia e senza la possibilità di comunicare con il padre.
Il ragazzo, che frequenta un corso di cinese, intreccia una relazione con Mia (Sylvia Chang) l’insegnante che inconsciamente gli ricorda la madre e con la quale cerca di ritornare alle origini.
Al di là delle montagne parla di speranze per una vita migliore ma anche del pericolo di non soppesare le proprie scelte di vita. Una delle battute più significative la pronuncia Dollar, pentito della relazione con Mia: “non ci avevo pensato” dice candidamente e, in quel momento, ricorda molto il primo atteggiamento di Tao che non aveva pensato troppo a chi avrebbe veramente voluto sposare. I protagonisti si trovano ad osservare disillusi il destino che hanno contribuito a costruirsi.
Quello che può apparire strano – a noi drogate di storie d’amore romantiche – è la totale mancanza di romanticismo, superato culturalmente dal senso del dovere e dall’opportunità. La Cina ha subito una folgorante mutazione sia economica sia sociale, in cui tutte le modalità di vita sono state sconvolte dall’irruzione del denaro che ha assunto una posizione centrale nell’esistenza.
Il protagonista invisibile di Al di là delle montagne è il tempo che scorre e che cambia la prospettiva: quando sei giovane non pensi alla vecchiaia, quando ti sposi non pensi al divorzio, quando hai i genitori non immagini che un giorno scompariranno, quando godi di buona salute non pensi alla malattia. Nel film il tempo scorre – sottolineato anche da una regia tecnicamente molto particolare, in cui il formato dell’inquadratura passa da uno stretto 1,33:1 fino al cinemascope – e mette la giusta distanza con gli avvenimenti. Al tempo stesso c’è il senso delle cose che si ripetono, di quello che resta stabile nel quotidiano. Tao che non si sposta da Fenyang e continua a cucinare ravioli, rimanendo fedele al tessuto sociale fatto di amici e famigliari. Questo concetto di fedeltà alla tradizione nella mitologia cinese si incarna in Guan Gong, la divinità della guerra. Il suo attributo è una lunga alabarda con un pennacchio rosso – l’oggetto che vediamo apparire in ogni parte del film – portato da un individuo che sembra errare senza uno scopo, come se non sapesse più che fare di questa virtù.
Vedendo Al di là delle montagne, ti renderai conto che in fondo, astraendoti dall’ambientazione, il tema trattato è dolorosamente vicino anche a noi.