Ci sono giorni in cui ho nostalgia di casa, un luogo fatto soltanto di persone, emozioni, ricordi, odori e sapori.
Tutte le case, intese come tetto sopra la testa, per me non hanno molta importanza; sia le mie sia quelle delle persone che amo, negli anni sono state soggette a traslochi, cambiamenti e rifacimenti. Le potrei sostituire tutte con una bella suite d’albergo e ne sarei felicissima.
Ma allora tu sei senza radici? – mi dice provocatoria mia madre – Se è così, questa casa la vendo!
Ecco il primo equivoco: è lei casa mia. Poi si dà il caso che ci abbia messo l’anima a costruire quattro mura che stanno su assai graziosamente, con un colpo d’occhio generale che mi piace molto e che sarebbe impossibile replicare senza di lei.
Ci sono persone che si legano ai luoghi come patelle allo scoglio e si sentono morire quando se ne allontanano; eppure, se i luoghi si svuotano dei propri abitanti, cessano subito d’avere senso, come accade agli uccelli migratori che tendono a ritornare al nido ma se non lo ritrovano ne costruiscono un altro. A me date pure il Ritz e un po’ di paraventi Coromandel e sarò felice.
Tuttavia, a volte, sospetto che il mio cuore alberghi soprattutto in cucina. Casa, per me, è l’odore di biscotto di mio figlio quand’era piccolo e lo strano odore di nicotina e profumo che aleggiava sui vestiti della nonna teutonica e Madame Rochas sulla scollatura della nonna “morbida”; era uscire a pranzo la domenica e la delizia di cibi, che a ben vedere, non erano tanto raffinati quanto capaci di “marcare” il territorio dei sensi; erano le tagliatelle con il ragù di fegatini, il bollito con la pearà, una vecchia ricetta per un sartù di riso al limone e il fagiano arrosto, gli ossobuchi con i buchi immensi e il baccalà con l’uvetta troppo dolce, il budino di mosto d’uva e il latte condensato succhiato dal tubetto.
Per me casa è anche il pandoro – con lo zucchero vanigliato ben incrostato – e il budino diplomatico che si fa con quello che avanza e che spunta fuori a tradimento, per mesi e mesi, fino a primavera.
Volete scoprire come può essere morbido e tremolante un ricordo?
Allora seguite la ricetta del Budino Diplomatico.
- Prendete uno stampo scanalato da budino, imburratelo e rivestitelo di caramello scuro.
- Riempitelo con pezzetti di pandoro e gettate alla rinfusa un paio di cucchiai di canditi e gocce di cioccolato.
- Fate bollire un litro di latte con un po’ di vaniglia e scorza di limone, passatelo al setaccio dentro una scodella dove avrete lavorato 8 tuorli con 3 uova intere e 130 g di zucchero.
- Versate nello stampo e fate cuocere a bagnomaria in forno a 140°C per circa un’ora e un quarto.
- Lasciatelo raffreddare prima di metterlo in frigorifero, poi lasciatelo riposare al freddo per alcune ore.
Rovesciatelo… et voilà il mio cuore servito su un piatto da dessert.
In un ricettario di cucina del 1904, il budino diplomatico – servito nei ristoranti veronesi che si definiscono tradizionali – era chiamato budino di “veneziane”. Era sempre fatto con briochette avanzate, quindi se poi vi viene voglia fuori stagione, potete ripiegare su qualche prodotto analogo oppure sul panettone (l’ultima opzione non è ortodossa ma va abbastanza bene).
Di fatto, la base del budino diplomatico è una crème caramel. Per avere tutte le delucidazioni possibili sulla ricetta, leggi QUI.