Esce il 7 novembre 2016 “Oasis: Supersonic” di Mat Whitecross con Liam e Noel Gallagher, il film sulla band che ha sconvolto il panorama musicale inglese alla metà degli anni ’90. O li amavi, o li odiavi, gli Oasis. Ignorarli era impossibile.
Ho visto questo film in funzione del fatto che non li ho mai trovati particolarmente affascinanti e – a parte alcune canzoni che credo siano entrate in testa a tutti, in quel periodo – francamente noiosi.
Ad ogni modo, alla metà degli anni ’90 arrivano e sbancano tutto. Questo film parla di loro e della musica culto della Generazione X, gli ultimi ragazzi appartenenti a una generazione predigitale.
È un periodo molto romantico in l’Inghilterra e nel panorama musicale anglosassone: c’è il Brit-pop e il governo di Blair, c’è speranza di cambiamento e la musica è vissuta in maniera molto più viscerale di quanto possano farlo ora i teenagers.
Oggi puoi seguire una pop star sui social media, puoi rivedere i concerti con calma se li hai persi, scaricare le canzoni in tempo reale: negli anni ’90 dovevi uscire a comprare gli album e ti strappavi i capelli per avere i biglietti per andare ai concerti, dovevi per forza essere presente fisicamente a un evento che sarebbe stato irripetibile (senza nemmeno poterlo filmare di nascosto con un telefonino).
I fratelli Gallagher trascinano il gruppo a una velocità supersonica; sono vere rockstar fin dall’inizio che fanno passare la band dagli scantinati alle arene, dall’essere perfetti sconosciuti a riempire le pagine dei tabloid. La storia è nota, a partire dal leggendario doppio concerto al festival rock di Knebworth, dove arrivano ad ascoltarli 250.000 persone e altri 2 milioni e mezzo cercano di avere i biglietti.
Liam e Noel fin dall’inizio dichiarano di voler cancellare Sting e Phil Collins: è abbastanza logico che il film non ci mostri due vecchi e glorie del rock che raccontano i bei tempi andati. Tra l’altro un’impostazione del genere farebbe sentire delle vere carampane i quarantenni del 2016 che invece, al contrario, si sentono giovanissimi. Sbattere loro in faccia la realtà sarebbe crudele e antieconomico.
Mat Whitecross, invece, mette insieme materiale di repertorio, con le interviste e le voci dei protagonisti che raccontano la storia, un bel modo per mantenere il ritmo e la freschezza del racconto.
La linea narrativa costante è il rapporto tra i due fratelli, il loro legame ma anche l’antitesi dei loro caratteri. Sono entrambi intelligenti, attraenti, spiritosi e c’è un fondo di romanticismo malinconico nella loro storia. Se uno spettatore quarantenne è maturato – dato non scontato – si rende conto che strafarsi di certe droghe è veramente fuori moda: agée.
Se nel film ti aspetti i racconti dei vecchi scandali da cronaca rosa, se ne fa cenno solo in maniera rapida, per dovere di cronaca. Certo, ci sono i problemi con il padre e per un istante si vede il faccino di una giovanissima Kate Moss; c’è l’aspetto della trasgressione da buzzurri di periferia, degli alberghi devastati e di qualche concerto disastroso a causa dei litigi e del tasso di alterazione mentale incontrollato.
Le 2 ore di “Oasis: Supersonic” parlano soprattutto di musica e di canzoni come “Wonderwall” che sono state tra i pezzi rock più venerati di quel periodo. Il film parla a una generazione ma anche di una generazione – incidentalmnete la mia – ed è per questo e per la solita passione antropologica, che lo salvo nettamente nella categoria “ore ben spese”.