A ben vedere, secondo la tradizione, il panettone non sarebbe un dolce esclusivamente natalizio ma i tempi hanno portato a identificarlo con il conto alla rovescia verso il periodo più dolce e delirante dell’anno.
È quindi giunto il momento di fare visita alla pasticceria Panzera – nella zona di Porta Nuova, quell’area di Milano ormai votata architettonicamente al futuro – non solo per la brioche del mattino e i dolci, che si scelgono come in una gioielleria dal bancone a freddo statico – ma soprattutto per assaggiare una fetta di panettone artigianale.
Il panettone artigianale, prodotto nel laboratorio a vista che si vede fin dalla strada, fa tornare gradevolmente alle origini.
Se lo faceste assaggiare a qualcuno abituato da sempre a un panettone industriale, probabilmente questa persona farebbe fatica a capirne immediatamente la qualità. Ci dovrebbe pensare su, come quando si assiste a una scena inaspettata e che si fa fatica a decodificare. Ci vorrebbe un secondo morso, poi un terzo, poi una fetta intera.
Il panettone è un lievitato perfetto, ma non svettante. La crosta ben cotta è appena secca e il profumo si fa strada delicatamente, senza arrivare alle narici come un cazzotto a base di aroma panettone, largamente usato da chi, invece, si fa largo nella GDO a colpi di sottocosto. L’alveolatura è regolare e l’interno soffice, punteggiato dalla giusta quantità di veri canditi e uvetta.
Mi piace definire il panettone un dolce tirchio come l’essenza della milanesità borghese, quella che puntava alla qualità senza mai eccedere nel lusso. Al secondo boccone – invece che essere già stufa di un impasto molliccio e stucchevole, come mi succede con i dolci mediocri – comincio ad apprezzare la leggerezza da antico pane dolce, sobrio ed elegante. Non contiene troppo zucchero ed è burroso il giusto, così da accompagnarsi bene anche a una crema inglese o al mascarpone, senza il rischio di uccidersi alla fine di una cena delle feste.
Lorenzo Panzera, ingegnere prestato al mondo della ristorazione, mi mostra con orgoglio una copia del Pasticciere e confettiere moderno, edita da Hoepli e datata 1935. Era del nonno, mi dice, e il panettone è prodotto ancora così, alla maniera tradizionale. Ha fatto addirittura restaurare alcuni macchinari dei primi ‘900 della Artofex: li potrete vedere se vi permetterà di visitare il laboratorio, la cui parte più scenografica è completamente a vista, separata dal negozio con una vetrata che mette i pasticceri in un acquario.
I panettoni sono solo classici – niente ripieni, niente glassature – con l’unica eccezione del panettone al marron glacé: i marroni canditi sono un lussuoso compromesso per chi non ama le classiche scorze e mantengono la giusta umidità interna dell’impasto. Se passate, non osate chiedere un “panettone senza”: se lo volete senza canditi o senza uvetta, siete pregati di armarvi di santa pazienza e toglierli dalla vostra fetta, perché hanno una funzione essenziale nel mantenere l’umidità del prodotto.
Il laboratorio ne produce solo pochi chili al giorno, che devono rispettare i tempi di affinamento previsti dalla ricetta. Uno dei segreti della morbidezza è il formato: i risultati migliori, in termini di equilibrio, si ottengono sulle pezzature superiori.
Da anni Panzera punta sul panettone freschissimo: niente scorte che cominciano ad agosto, come certe pasticcerie artigianali che esternalizzano la produzione, solo panettoni sfornati ogni giorno fino ad arrivare a una produzione complessiva che raggiunge a stento i 2000 kg entro Natale. Perchè bisogna ricordare un punto fondamentale di ogni lusso, piccolo o grande che sia: la quantità va sempre a discapito della qualità, anche quando si è molto bravi.