Il cuciniere francioso di La Varenne

1 Settembre 2015
Il cuciniere francioso - copertina

Il cuciniere francioso di La Varenne, a cura di Jean-Claude Carron è stato uno dei progetti editoriali più emozionanti cui abbia partecipato negli ultimi anni. Ripubblicato da Guido Tommasi, ne ho curate la postfazione e l’attualizzazione di una cinquantina di ricette.

Non sapete chi era il Signor de La Varenne? Il vero e unico masterchef nella Francia di metà XVII secolo. Il cuciniere francioso, infatti, vide la luce nel 1651.

Ricordo che, leggendo per la prima volta Il cuciniere francioso, sono stata colpita da un fulmine a ciel sereno. Ecco, mi sono detta, anche nell’antichità gli chef possedevano un fascino irresistibile: un diabolico miscuglio di falsa modestia, genialità, perizia manuale, millanteria, passione e nebulosità, al servizio di un’arte sempre in bilico tra esaltazione e disprezzo.

Mi sono ritrovata perdutamente innamorata di un testo che – facendo i dovuti distinguo – è modernissimo. La Varenne era un grande chef, perfino utilizzando il metro di giudizio contemporaneo. Alcune ricette non hanno subito sostanziali modifiche dal 1652, al tempo della seconda edizione. A fianco di ricette dal sapore ancora spiccatamente medievale, si trovano preparazioni che ricorrono invariate fino ai giorni nostri e che sono rimaste cavalli di battaglia della grande cucina classica.

In alcuni casi il testo ha bisogno d’interpretazione – là dove non ci sono attinenze immediate con la cucina a noi più familiare – oppure di rivedere i metodi di cottura, tenendo in considerazione l’attrezzatura che oggi abbiamo a disposizione. Leggendo il testo originale, se non siete addetti ai lavori o particolarmente esperti in cucina, potreste avere la sensazione che le spiegazioni del Cuciniere siano quanto mai vaghe. Non è così. Il Cuciniere era un trattato per professionisti e non certamente per massaie di lusso, piene di buona volontà: ai suoi tempi non esistevano signore bene che si dilettavano ai fornelli. Le spiegazioni originali, quindi, presupponevano un savoir faire dato per scontato in chi lavorava in una cucina nobiliare.

Una ricetta si trova qui.