Se vivete con degli under 10, stasera valutate seriamente di leggere la fiaba africana “I doni scambiati”. La trovate in fondo a questo post, anche se vi consiglio di comprare il libro.
La favola racconta le avventure di un ragazzo determinato – ma il fratello lo chiama “matto”, affermazione traducibile con “pazzo sognatore senza i piedi per terra” – che con molto coraggio e una notevole dose di resilienza, riesce a ottenere ciò che si era prefissato.
Il mio Piccolo Flagello (PiF per gli amici) ultimamente vorrebbe ascoltare questa storia a ripetizione e ciò non può che rallegrarmi, perché di determinazione, coraggio e resilienza i nostri figli hanno molto bisogno.
A questo aggiungerei il fatto di non farsi piegare dal giudizio dei propri familiari, a volte resi presbiti da troppa vicinanza. Fino a una certa età è più facile raccontare una fiaba piuttosto che spiegare il concetto di “Nemo propheta in patria (sua)“.
Infine, una preghiera agli amanti del politically correct: per una volta, soprassedete sul fatto che lo scopo del fanciullo sia conquistare una figlia di re. Le fiabe vengono da tempi e da luoghi in cui le principesse si potevano portare via in cambio di una rete di pesci. Se lo ritenete importante – ammesso che i bambini non capiscano meglio di noi quando contestualizzare – spiegate ai maschi che da noi non funziona più così e che vorremmo non succedesse più nemmeno in quei paesi in cui gli aspetti crudi delle fiabe sono ancora realtà. Alle femmine dite, invece, di scappare a gambe levate da chi dovrebbe amarle e le cederebbe anche soltanto per un buon prodotto ittico.
“C’era una volta una donna che aveva due figli e abitava in un villaggio vicino a una foresta. Una mattina la donna uscì di casa per andare a raccogliere la legna. Tornò al villaggio la sera, con una fascina sulla testa. Sopra la fascina c’erano due bellissimi uccelli dalle piume rosse e oro: erano rimasti intrappolati con le zampe tra i rami.
Quando arrivò a casa, la donna regalò un uccello a ciascuno dei suoi figli.
Il più grande disse: “Che meraviglioso uccello! Non è solo bello, dev’essere anche buono da mangiare. E io ho fame. Accenderò il fuoco, poi lo spennerò e me lo farò arrosto.”
Il più piccolo disse: “Io invece il mio non voglio mangiarlo, perché è tanto bello; semmai lo scambierò con qualcos’altro.”
“Con che cosa lo vuoi scambiare?” chiese il fratello grande.
“Voglio fare cambio con la figlia del re” rispose il fratello piccolo.
“Fratello, sei matto” disse il fratello grande. “Pretendi forse di avere la figlia del re in cambio di un uccello dalle piume rosse e oro? Ah ah ah!”
“Se sono matto non lo so” disse il ragazzo. “So che non tornerò a casa se non avrò con me la figlia del re. Addio, madre; addio, fratello.”
E la mattina dopo prese con sé il suo uccello dalle piume rosse e oro e partì.
Cammina cammina, dopo una giornata di marcia attraverso la foresta, il ragazzo arrivò in un villaggio. Era un villaggio di poche capanne, dove abitavano solo donne, vecchi e bambini. Davanti a una capanna vide dei bambini che giocavano, seduti per terra accanto al fuoco. I bambini gli dissero: “Che magnifico uccello rosso e oro. Ce lo dai?”
Il giovane era generoso, così disse: “Prendetelo pure” e diede l’uccello ai bambini, convinto che ne apprezzassero la bellezza.
I bambini invece presero l’uccello, lo uccisero, lo spennarono e lo cucinarono sul fuoco.
Il ragazzo allora si accoccolò a terra e pianse sconsolato. “Perché avete ucciso il mio uccello? Era un regalo di mia madre. E adesso io che cosa faccio?” disse ai bambini.
“Non prendertela: tieni, in cambio ti diamo questo coltello. Guarda com’è bello” dissero i bambini, e gli diedero un lungo coltello dalla lama tagliente come un rasoio.
Il ragazzo si asciugò le lacrime, prese il coltello, salutò i bambini e proseguì il cammino.
Il giorno dopo, arrivò sulla riva di un lago e vide degli uomini che coglievano le canne.
Erano accucciati a terra come cani e strappavano le canne con i denti. Si lamentavano per il dolore alla bocca, ma continuavano a mordere e a staccare le canne con i denti. Poi le riponevano in grossi cesti.
Il ragazzo si fermò a osservarli ed ebbe pietà di loro. “Tenete, amici, prendete il mio coltello. Tagliare le canne sarà più facile con questo” disse, e diede loro il coltello.
Gli uomini lo ringraziarono, presero il coltello e cominciarono a tagliare le canne. Tagliavano e ammucchiavano, tagliavano e ammucchiavano. E così fino a sera, quando la lama del coltello, logorata da tutto quel lavoro, si spezzò.
“Il mio bel coltello!” esclamò il ragazzo. “Lo rivoglio indietro! Me l’hanno dato i bambini davanti alla capanna del villaggio in cambio dell’uccello dalle piume rosse e oro che mi aveva regalato mia madre!”
“Non prendertela” dissero gli uomini. “Tu ci hai dato il coltello e noi l’abbiamo rotto. In cambio ti regaleremo un cesto fatto con le nostre canne. Ti daremo il cesto più bello e più grande per ripagarti della tua generosità.”
E così il ragazzo ripartì senza coltello, ma con un cesto ampio e robusto.
Il mattino dopo, il ragazzo proseguì il suo cammino, tenendo alto sopra la testa il cesto dei tagliatori di canne.
Dopo ore e ore di cammino, arrivò in un campo di grano. Gli uomini nel campo raccoglievano le spighe, le sgranavano e si mettevano i semi in tasca. Ma poiché i loro abiti erano vecchi e logori, le tasche colme di semi si scucirono e tutti i semi caddero a terra.
Mosso a pietà, il ragazzo diede loro il suo cesto. “Prendetelo” disse. “Mettete qui il vostro raccolto.”
Gli uomini lo ringraziarono e misero il grano nel cesto.
Alla fine della giornata, il cesto, che diventava sempre più colmo, per il troppo peso si sfondò.
“Il mio cesto!” gridò il ragazzo. “Lo rivoglio! Me l’hanno dato i tagliatori di canne in cambio del coltello affilato che mi avevano dato i bambini del villaggio in cambio dell’uccello dalle piume rosse e oro che mi aveva regalato mia madre.”
“Non ti arrabbiare” dissero gli uomini, tentando di calmarlo. “Non te la devi prendere così. Non andrai via di qui a mani vuote. Sapremo ricompensare la tua generosità. In cambio del tuo cesto, ti daremo un orcio pieno d’olio.”
E così il ragazzo riprese il cammino portando con sé l’orcio pieno d’olio.
Il quarto giorno, dopo una lunga camminata, il ragazzo arrivò davanti a un albero gigante. Era un baobab, tra i più grandi che avesse mai visto. Ma i suoi lunghi rami erano pallidi, e così il fusto e le radici.
“Come sei bianco” disse il ragazzo. “Che cosa ti è successo?”
“Sono molto malato” rispose il baobab. “Il calore e la siccità hanno tolto linfa alle mie radici. Mi occorrerebbe un po’ del tuo olio. Se strofinerai i miei rami e il mio tronco con l’olio, questo darà vigore alle mie radici, e io guarirò.”
Il ragazzo non ci pensò due volte: versò l’olio sulle radici e lo spalmò sul fusto e sui rami del baobab. Ma poiché l’albero era grande, in poco tempo l’olio dell’orcio finì.
Il ragazzo, stremato, si accasciò al suolo e cominciò a piangere. “E adesso chi mi restituisce il mio olio? Me l’avevano dato gli uomini del campo di grano in cambio del cesto. Il cesto me l’avevano dato i tagliatori di canne in cambio del coltello affilato. Il coltello me l’avevano dato i bambini del villaggio in cambio dell’uccello dalle piume rosse e oro che mi aveva regalato mia madre!”
“Non ti avvilire” disse il baobab. “Tu sei stato generoso con me: mi hai donato il tuo olio che mi ha salvato la vita. Io ricambierò il tuo dono: ti darò una fascina dei miei rami.”
E così il ragazzo raccolse la fascina di rami che l’albero gli aveva dato, se la mise sulle spalle e sotto quel peso proseguì il suo viaggio.
Cammina cammina, arrivò vicino a una zona rocciosa, ai piedi di una montagna. Lì, al riparo di una rupe, sostavano dei mercanti. Avevano acceso un fuoco per cuocere il cibo, ma le fiamme si stavano estinguendo, perché al posto della legna avevano messo a bruciare soltanto pochi stracci. “Tenete questa fascina, amici” disse il ragazzo, e porse loro la legna. I mercanti presero volentieri la fascina, che subito si incendiò, avvolta da una bella fiamma scoppiettante.
Vedendo la sua fascina andare in fumo, il ragazzo gridò: “Che cosa ho fatto! Rivoglio la mia fascina. L’albero me l’aveva data in cambio di un orcio pieno d’olio. E l’orcio? Me l’avevano dato gli uomini del campo di grano in cambio del cesto. Il cesto me l’avevano dato i tagliatori di canne in cambio del coltello affilato. E il coltello me l’avevano dato i bambini del villaggio in cambio dell’uccello dalle piume rosse e oro che mi aveva regalato mia madre.”
“Non disperarti” dissero i mercanti. “Sappiamo essere generosi con chi è stato generoso con noi. Prendi questo sacco di sale. E’ merce preziosa: vedrai che il cambio sarà tutto a tuo vantaggio.”
Il ragazzo, ormai rassegnato, si caricò in spalla il sacco di sale, salutò i mercanti e riprese il cammino.
Si inerpicò sulla montagna, poi scese dall’altra parte e arrivò al fiume. Stanco e affaticato, si sedette vicino alla riva e bevve per dare ristoro alla sua sete.
“Non sai di molto” disse il ragazzo al fiume, dopo aver ingoiato una lunga sorsata. “La tua acqua non ha sapore e non disseta.”
“Se non so di molto, non so che farci” disse il fiume, offeso. “Gettami del sale, se desideri che la mia acqua sia saporita.”
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte: aprì il suo sacco di sale e lo versò tutto nelle acque del fiume.
Subito dopo aver gettato il sale, vedendo che spariva nell’acqua e si scioglieva all’istante, il ragazzo si gettò a terra e urlò: “Che sciocco sono! E adesso? Rivoglio il mio sale. Me l’avevano dato i mercanti in cambio della fascina di legna. E la fascina? Me l’aveva data l’albero di baobab in cambio dell’olio. E l’olio me l’avevano dato gli uomini del campo di grano in cambio del cesto. Il cesto me l’avevano dato i tagliatori di canne in cambio del coltello affilato. E il coltello me l’avevano dato i bambini del villaggio in cambio dell’uccello dalle piume rosse e oro che mi aveva regalato mia madre.”
“Su, non ti disperare” disse il fiume. “In cambio del sale ti darò i miei pesci.”
“Come li prendo i tuoi pesci, con le mani?” si lamentò il ragazzo. “Non ho nulla con me per pescare.”
“Vedi quella rete sulla riva?” disse il fiume. “Gettala, e farai una pesca abbondante.”
Il ragazzo fece come gli aveva detto il fiume: gettò la rete, e quando la trascinò a riva, era colma di grossi pesci guizzanti. Il ragazzo ringraziò il fiume, si caricò in spalla la rete piena di pesci e continuò il suo viaggio, seguendo il corso del fiume.
Il fiume attraversava un villaggio. Il ragazzo vide degli uomini che correvano tra le capanne: cercavano di catturare delle cavallette.
Incuriosito da quel trambusto, il ragazzo fermò uno degli uomini e gli chiese: “Che cosa state facendo? Perché vi affannate tanto per acchiappare le cavallette?”
“Il nostro re” rispose l’uomo “ha ricevuto la visita di un gruppo di ricchi signori di una terra lontana, ma il nostro villaggio è povero e non abbiamo nulla da offrire loro. Per questo stiamo cacciando le cavallette.”
“Ho io quello che fa per voi” disse il ragazzo. “Portatemi dal vostro re.”
Quando il ragazzo fu al cospetto del re, depose ai suoi piedi la rete traboccante di pesci e disse: “Ecco, re, ho qui con me quanto serve per sfamare i tuoi ospiti.”
Il re ringraziò il ragazzo per il dono generoso.
Il pesce fu portato via, venne arrostito e poi servito agli ospiti.
Quando la cena fu terminata e gli ospiti se ne furono andati, il ragazzo vide che non era avanzato nemmeno un pesce. Così andò dal re e si lamentò: “Rivoglio i miei pesci” disse. “Me li aveva dati il fiume in cambio di un sacco di sale. E il sacco chi me l’aveva dato? Me l’avevano dato i mercanti in cambio della fascina di legna. E la fascina? Me l’aveva data l’albero di baobab in cambio dell’olio che mi avevano dato gli uomini del campo di grano in cambio del cesto. Il cesto me l’avevano dato i tagliatori di canne in cambio del coltello affilato. E il coltello me l’avevano dato i bambini del villaggio in cambio dell’uccello dalle piume rosse e oro che mi aveva regalato mia madre.”
“Va bene, ragazzo” disse il re. “Che cosa vuoi in cambio della tua generosità? Chiedimelo, e se posso te lo darò.”
Allora il ragazzo disse: “Re, se vuoi essere altrettanto generoso con me, dammi tua figlia in sposa.”
“Va bene” disse il re. “Se è questo che desideri, ti do mia figlia in sposa. Prendila con te. Amatevi e cercate di essere felici insieme.”
E così la ragazza indossò un abito rosso e oro, e anche il ragazzo venne vestito con l’abito dello sposo. E venne regalato loro un asino per il viaggio di ritorno.
Dopo la festa di nozze, i due sposi partirono e cavalcarono per alcuni giorni. Passarono sulla riva del fiume e salirono sulla montagna, e poi discesero fino alla zona rocciosa. Proseguirono, passarono davanti al baobab e giunsero al campo di grano; poi superarono il lago dei tagliatori di canne. Passarono anche accanto al villaggio dei bambini e, dopo aver attraversato la foresta, finalmente arrivarono al villaggio del ragazzo.
La madre e il fratello grande si fecero incontro al fratello piccolo, stupiti di rivederlo dopo tutto quel tempo.
“Salve, fratello. Salve, madre” disse lui. “Questa è la mia sposa, la figlia di un re, che ho avuto in cambio dell’uccello dalle piume rosse e oro.”
“Non è possibile” disse il fratello grande, sbalordito.
“Certo che è possibile. Te l’avevo detto. Se vuoi, ti racconto tutta la mia storia.” E raccontò a lui e alla madre della lunga catena di incontri che l’avevano portato tanto lontano da lì.
Così fu che un uccello dalle piume rosse e oro diede in sposa la figlia del re al ragazzo del villaggio.”