Dove poteva arrivare Twizy – la 100% elettrica di Renault – per annunciare la sua collaborazione con lo street artist francese Clet Abraham, se non in Piazza Liberty a Milano, nel pieno centro storico di una città assurta alle cronache proprio per le ztl cattivissime e le mille sfumature di difficoltà nella convivenza tra quattro ruote e ambiente cittadino.
Zero Limits è il messaggio che Renault vuole dare a chi desidera muoversì più liberamente: Twizy è tanto compatta da poter essere parcheggiata anche perpendicolarmente, maneggevole come uno scooter, con un design ironico, agile scattante e pulita, Twizy “diventa complice nella vita quotidiana”, dicono… Sarà per questo che hanno chiesto la collaborazione di Clet Abraham? L’artista è diventato celebre per la sua segnaletica stradale modificata e per la prima volta ha accettato di legarsi a una casa automobilistica.
Il pensiero artistico di Clet si basa sul concetto di sovrapposizione dei significati: modificare un elemento urbano con un intervento artistico significa far nascere, dall’incontro di questi due elementi, un terzo significato. Il segnale stradale preferito di Clet? Naturalmente il divieto d’accesso che, idealmente, Twizy vorrebbe infrangere.
Incontrare uno street artist diventato culto e non fargli nemmeno due domandine? Impensabile.
Come la mettiamo con le autorità? Il tuo lavoro non è sempre benvenuto. Cerco sempre di fare in modo che non ci sia danno materiale o il danno sia contenuto. Lavoro sui cartelli stradali perché sono simboli dell’autorità: sono simboli che rispetto e metto in luce con il mio lavoro, lasciando che siano comunque comprensibili nella loro funzione. Il mio è un modo di criticare il principio di imposizione: si può progredire quando le leggi possono essere messe in discussione e criticate. L’arte che fa provocazione mette in difficoltà e preoccupa soprattutto l’autorità ottusa e dispotica. Tuttavia, quando un’opera piace al popolo ed è accettata e apprezzata, significa che siamo in democrazia.
Quali sono state le conseguenze più gravi? Piccoli problemi di multe, poca cosa, e un problema molto più grave con la mia fidanzata che è – ad oggi – agli arresti in Giappone perché considerata complice di un reato.
Tempo fa lo street artist Pao si è lamentato del plagio maldestro di alcune sue opere. Che ne pensi? Mi è capitato di andare ad Amsterdam perché volevo disegnare e quando sono arrivato mi sono reso conto che un mio cartello c’era già! Mi ha fatto piacere che ci sia stato qualcuno che ha riprodotto i miei cartelli stradali e anche chi ne ha fatti di nuovi usando il mio stile. Bisogna darsi al mondo senza paura.
Le città hanno problemi con i tag: come li consideri? I tag sono comunque un fenomeno interessante. Sono – anche se in maniera poco significativa – un messaggio politico, la richiesta del diritto all’esistenza. La critica e la rottura sono interessanti quando sono costruttive; il tag, invece, è fine a se stesso, non comunica alternative, è distruttivo e basta.
Anche il tuo lavoro non sopravvive? Certo! Ne viene smantellato circa la metà.
Come scegli i luoghi e i materiali? Nelle città scelgo i quartieri più interessanti e che hanno più visibilità. A parte il lavoro sui cartelli cittadini, ne acquisto di vecchi a pochi euro o nuovi, da chi li produce. Alcuni vecchi cartelli sono molto belli. Nel mondo quelli italiani sono tra i più belli: sono tanti e vari, mentre per esempio in Germania sono meno e molto più uniformi. A Milano sono numerati sul retro e timbrati con il marchio della città.
Il mio preferito è il divieto d’accesso perché è compreso ovunque e quasi identico dappertutto. Se vuoi interpretare la mia collaborazione con Twizy, posso dirti che in attesa del teletrasporto, l’auto elettrica è l’unico modo per affrontare il problema accesso in città.