Secondo la psicologia dell’età evolutiva, l’età dei “perché” comincia attorno ai 3 anni e si protrae fino a circa i 5 anni e oltre. Tuttavia, i “perché” di un bambino curioso non smettono mai, cambiano semplicemente significato e modalità.
Nonostante la nostra pazienza sia messa a dura prova, teniamo duro e cerchiamo d’avere l’accortezza di non spegnere l’innata curiosità dei bambini. La scuola non è sempre d’aiuto: il bambino arriva con ancora un carico di domande e ne esce troppo spesso senza alcun desiderio di apprendere, di interrogare e di interrogarsi. Quindi, perlomeno, facciamolo accadere a casa.
Per prima cosa, ricordati che non esistono “troppe domande” o “domande sciocche”: ogni quesito è un’occasione unica per comunicare, educare e dare un senso al tempo speso insieme ai tuo bambini.
Per i più piccoli, subissare di perché la mamma e il papà è un modo di ottenere la loro attenzione. La parola “perché” per loro ha un valore immenso di per se stessa. Per contro, più i bimbi sono piccoli, meno sono capaci di concentrarsi a lungo su una spiegazione molto complessa.
Non è assolutamente necessario che un genitore si sfinisca con spiegazioni complesse. A volte l’insistenza può innervosire parecchio ma guai a vietare di porre domande. Un buon sistema per disinnescare i “perché” a ciclo continuo – e un consiglio che potrai continuare a mettere a frutto con successo anche man mano che tuo figlio o tua figlia crescerà – è rispondere con un “secondo te perché?”.
Indipendentemente dall’età, una parte importante dell’apprendimento è cercare da soli delle spiegazioni facendo ipotesi.
Quando i bambini entrano nell’età scolare, le domande si fanno più complesse ma talvolta la scuola – anche quando gli insegnanti sono particolarmente illuminati e pro attivi – è vincolata dai programmi didattici e da obiettivi standard di apprendimento, lasciando poco spazio alla curiosità e all’approfondimento personale. Può succedere che i bambini più curiosi e intelligenti si annoino, soprattutto quando non trovano risposte soddisfacenti.
È importante che a casa si possano discostare dalle regole di pensiero già prestabilite e che possano essere lasciati liberi di arricchire la propria conoscenza del mondo, anche in maniera apparentemente poco coerente.
Ricordati che la proprietà di linguaggio è sia un mezzo sia un fine: serve come strumento per comprendere ed essere compresi. Quando tuo figlio o tua figlia fa una domanda, prima di dare una risposta prenditi del tempo e approfittane per invitarlo o invitarla a spiegarsi meglio possibile. Con il trascorrere degli anni avrai bisogno di più di cinque minuti per trovare una risposta corretta o soddisfacente, quindi tanto vale approfittarne per arrivare insieme alla soluzione del quesito, arricchendo il vocabolario e cercando di utilizzare insieme le parole scientificamente più pertinenti.
Fermati, ritaglia qualche minuto del tuo tempo per dare attenzione totale, guardalo negli occhi e fai percepire il tuo interesse. Resisti all’ansia di correggere o di fornire la risposta giusta più in fretta possibile per toglierti il pensiero: con i più piccoli non funzionerà perché le domande sono un modo per solleticare la creatività, mentre con i più grandi perderai un’importante occasione di dialogo, fondamentale non solo nel rapporto figlio-genitore ma anche in quello alunno-maestro.
I bambini non vedono l’ora di far entrare gli adulti nel loro mondo e, se farai passare in secondo piano i propositi didattici un po’ enciclopedici, ti accorgerai che attraverso i “perché” imparerai tantissimo anche tu.
Dai 7-8 anni in poi, i bambini hanno voglia di sperimentare, costruire, smontare meccanismi, capire come funzionano le cose. Anche quando diventano più grandi, il gioco deve essere il più possibile libero e aperto alla fantasia ma – per attivare al meglio il loro sistema esplorativo – devono percepire che l’adulto accanto a loro è desideroso di affiancarli, pur lasciandoli fare e senza imporre regole eccessive.
Un’altra condizione importante da ricordare per liberare le potenzialità creative ed esplorative è la “noia”: il bambino si annoia rispetto a una condizione imposta dall’adulto oppure perché l’ambiente non fornisce il materiale necessario a divertirsi. Anche in questo caso è necessaria attenzione da parte nostra: è magnifico poter fornire stimoli diversi ai nostri figli ma questo non equivale a riempirli di attività, nel terrore che si annoino. Noia significa anche avere il tempo di riflettere e formulare le domande migliori.
[Questo articolo fa parte di una serie di contenuti che ho sviluppato per Ricercamondo, un’iniziativa creata da Henkel per avvicinare i bambini al mondo della scienza, incoraggiandoli a imparare in modo facile e divertente. Lanciata con il nome di Forscherwelt (mondo dei ricercatori) nel 2011 a Düsseldorf, questo progetto prevede un programma di studio per le scuole elementari.]
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