Cast di stelle francesi ad alta esportabilità – Vincent Cassel, Marion Cotillard e Lèa Seydoux – per “È solo la fine del mondo” di Xavier Dolan in uscita il 7 dicembre.
Confesso che una spinta molto forte alla visione me l’ha data proprio il cast. Ognuno di noi ha specifiche debolezze e una delle mie è non saper resistere quando sento i nomi Cassel-Cottillard. Così, spinta dalla sete di glamour e bellezza, mi sono trovata a vedere un film duro psicologicamene e magnetico esteticamente. “È solo la fine del mondo” ha vinto il Grand Prix della giuria del festival di Cannes 2016 ed è tratto dall’omonima piéce teatrale di Jean-Luc Lagarce.
Louis (Gaspard Ulliel) è un giovane drammaturgo di successo che torna a far visita alla famiglia dopo 12 anni. Louis ha uno scopo: deve dire alla madre (Natalie Baye) e ai fratelli che sta per morire.
A parte il viaggio iniziale del protagonista, in un sud afoso e claustrofobico, punteggiato da personaggi dallo sguardo inquisitore e da dettagli che portano la scena in un posto lontano, al limite della degradazione – tutta l’azione si svolge on stage sulla scena della casa di famiglia e nei ricordi di Louis.
Ad accoglierlo a casa, oltre alla madre, ci sono il fratello maggiore Antoine (Vincent Cassel), la sorella più piccola Suzanne (Léa Seydoux) e la cognata Catherine (Marion Cotillard), una donna timida e sensibile.
La visita di Louis è attesa e sono tutti molto agitati. La giornata trascorre intervallata da confronti verbali molto accesi, momenti di imbarazzo e slanci di affetto. Louis deve cogliere il momento per dare la notizia sconvolgente che non lo rivedranno mai più ma sembra non trovarlo mai.
A parte la voce fuori campo che riporta il flusso di coscienza di Louis e che da alcune indicazioni sulla sua personalità, il protagonista ha pochissime battute, del resto è proprio la mancanza di parole – al limite dell’afasia – che rende possibile l’immersione in un clima relazionale difficile.
Tutto ciò che sappiamo di Louis deriva dal fatto che il regista ci permette – a sprazzi – di visualizzare stralci di ricordo.
Louis è gay, è bello, è intelligente, ha talento: se ne è andato da casa senza voltarsi indietro per allontanarsi da incomprensioni e da un ambiente limitante. Sappiamo che da qualche parte in città ha un compagno, che non ha dato il nuovo indirizzo alla madre, che manda sempre cartoline per i compleanni. Sappiamo che Louis è malato e che in qualche modo anche gli altri personaggi intuiscono che qualcosa non va.
I rapporti tra i cinque interpreti sono un tessuto fitto di cose non dette e di sopraffazione. Antoine è un groviglio di violenza e aggressività; Suzanne è giovane e ribelle ma non è ancora in grado di dare sfogo in maniera positiva alla sua insoddisfazione; Catherine è incapace di fare un discorso compiuto, la paura le impedisce di esprimere ciò che pensa. La madre – che si nasconde dietro un’estetica appariscente e aggressiva – conosce profondamente i figli e le loro debolezze ma non è in grado di aiutarli; in un estremo tentativo di ricucire le relazioni – anche se capisce che non è più possibile – chiede a Louis, il figlio che ha dimostrato di essere più forte, di fare il primo passo per normalizzare i rapporti ma ormai è troppo tardi.
“È solo la fine del mondo” è un film che scortica la pelle per la ferocia con cui descrive il clima patologico di un nucleo famigliare
La sceneggiatura è scarna, è fatta per lasciare spazio all’immaginazione e per riempire i vuoti tra le battute con quello che l’esperienza personale di ciascuno è capace di aggiungere, facendo affidamento sul fatto che – in maniera più o meno cruenta – lo spettatore è in grado di dare un giudizio sui rapporti familiari.
Se Catherine balbetta afasica – senza trovare mai le parole giuste – la mente di chi guarda formulerà cento ipotesi su ciò che andrebbe fatto o detto per portare avanti la storia, cosi come gli esasperati primi piani sugli occhi – quelli bellissimi della Cotillard ma anche quelli di tutti gli altri personaggi – fanno in modo che chi guarda possa fantasticare sul significato di un’ombra dello sguardo o che nell’iride si possa scorgere il riflesso di una diversa verità.
È un film emozionante, in cui si alternano duelli verbali in cui nessuno esce vincitore e momenti in cui la tensione sembra sciogliersi solo per tornare immediatamente altissima.
I mille dettagli della regia e il contrappunto della colonna sonora – sapientemente composta da Gabriel Yared – rendono “È solo la fine del mondo” un film di cui mi ricorderò a lungo.