Appena pubblicato da Giunti, il nuovo romanzo di Chiara Moscardelli rivela una sorpresa alle sue affezionate lettrici: la nuova protagonista è un’evoluzione in chiave noir delle sue donne, pur mantenendo spiccati i tratti surreali che ce le hanno fatte amare. “Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli” è il primo libro di una trilogia che ti appassionerà molto.
Ho incontrato nuovamente Chiara Moscardelli, in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo. L’intervista che segue è virtualmente un proseguimento di quella che puoi leggere QUI a proposito di “Volevo solo andare a letto presto”.
Se ti capitasse di intercettare una delle presentazioni dei suoi libri – abbastanza frequenti in tutta Italia – potrai verificare personalmente come la Moscardelli sia uno spasso, esattamente come le sue eroine anticonformiste. Per sua stessa ammissione: “Tutti sanno che attacco bottoni che stordiscono le persone”. Sappiamo anche che la sottile vena ironica ricorda molto l’umorismo di Woody Allen, rivisto e corretto in chiave femminile.
La storia in due righe: Teresa Papavero torna a Strangolagalli –il piccolo borgo a sud di Roma dov’è nata – dopo aver perso lavoro. Vuole ricominciare una vita tranquilla ma si trova coinvolta in omicidi e colpi di scena, equivoci e rivelazioni. Il suo intuito fuori dal comune non aiuta la sua credibilità e – invece che trovare un rifugio – è perseguitata dalle ombre del passato e da un’indagine complessa.
Teresa è iscritta a Tinder, il suo primo appuntamento a Strangolagalli scatena il primo di una serie di eventi inimmaginabili: le App d’incontri sono la nuova frontiera del romanticismo?
Vivo a Milano da dieci anni e – come ho raccontato fin dagli esordi – non ho conosciuto nessuno perché i milanesi non hanno la cultura di invitare a casa e presentarti altri amici. È difficile “trovarsi” o “uscire” abbastanza casualmente come accade a Roma. Devi mettere in agenda anche un caffè. Per circa un anno mi sono iscritta a Tinder e ho sfruttato l’esperienza nel libro. Posso dire che è stato un disastro: sopra i quaranta, molti sono già sposati e hanno il coraggio di seccarsi quando glielo fai notare, oppure sono mitomani o egocentrici o super-giovani con i calzini a vista, usciti da un divorzio Uno apparentemente “normale” lo faccio trovare a Teresa Papavero e, non a caso, è giovane: i ragazzi attorno ai trent’anni sono ancora alla ricerca del romanticismo e paradossalmente sono altrettanto spaventati da un genere di donne della loro età, super truccate e molto aggressive.
Anche con questo ultimo giallo l’esperienza personale ha contribuito allo sviluppo dei personaggi?
Prima di creare il personaggio di Teresa Papavero, nel bene o nel male le mie protagoniste sono state uno specchio della mia personalità (infatti “Volevo essere una gatta morta” era un’autobiografia romanzata, n.d.A.) e le protagoniste si sono evolute con me. Da un lato, Teresa ha fatto un passo in più perché l’ho fatto io, dall’altro ho giocato a stravolgere le problematiche per vedere cosa sarebbe successo a un personaggio se avesse avuto un background che non conoscevo.
Ad esempio, ho invertito i ruoli genitoriali: Teresa ha un padre ingombrante e una madre che sparisce. Con una figura paterna presente, le cose cambiano e i blocchi sentimentali non sono più così centrali: lei si butta nelle relazioni, ne ha più di una e, anzi, si barcamena persino tra due uomini.
Essere single superati i 40 anni è ancora vero che un uomo diventa interessante mentre una donna diventa zitella?
Certo che sì! Altrimenti perché andremmo a farci la tinta e in palestra per evitare che ceda tutto? Se tutte noi ci comportassimo come uomini – pancette e capelli brizzolati – non troveremmo mezzo uomo. Le cinquantenni tutte tirate e rugose che trovo in palestra sono terrorizzate: si stanno tenendo con i denti l’uomo che hanno a casa e che, altrimenti, uscirebbe volentieri con una trentenne dalla pelle fresca.
Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli è il primo di una trilogia gialla. Come mai hai scelto di ambientare la storia in un paese minuscolo?
La mia grande ossessione è la serie televisiva “La signora in giallo”. In tutti questi anni ho girato un po’ in tondo, pensando a Jessica Fletcher; volevo ricreare una mia Cabot Cove. Quando ho deciso di scrivere questo romanzo, sono partita dalla ricerca del luogo. Non poteva essere una grande città. Su Google ho inserito “piccoli paesi con nomi assurdi” e ho trovato Altolà in provincia di Bologna, ma non conoscevo nulla dei posti. Poi ho trovato Strangolagalli in provincia di Frosinone e ci sono andata in missione: 3000 anime come Cabot Cove, un borgo medievale con i cittadini coinvolti da un Sindaco all’apparenza molto attivo. Conoscevo la zona, la cucina, mi metteva tranquillità: Strangolagalli è un posto dove potrei vivere. Poi ho inserito i personaggi, ma sia chiaro che in paese non conosco nessuno e soprattutto non mi sono ispirata a nessun personaggio reale!
Anche in questo caso, il tuo libro potrebbe essere un bellissimo prodotto cinematografico: è intenzionale?
Lavoro sempre pensando al cinema e alle storie televisive, ma io scrivo sempre per divertirmi – altrimenti diventa faticoso dopo aver lavorato dal lunedì al venerdì – e ai produttori manca sempre qualcosa, vorrebbero sempre un particolare diverso. Ho fatto un corso di sceneggiatura per rendere la mia scrittura più cinematografica ma sono convinta che l’impegno che metto in ogni libro sia comunque in bollato come chick-lit. In Italia, i gialli li scrivono ancora prevalentemente gli uomini, con rare eccezioni come Alessia Gazzola. Come al solito, ho pensato già ai volti degli attori di riferimento e questa volta nei panni della protagonista vedrei Anna Foglietta e naturalmente Alessandro Preziosi ci deve essere…
Hai sempre dichiarato che le tue protagoniste si muovono con te, e con il lavoro introspettivo che hai fatto su te stessa. Teresa ha paura d’ammettere di valere e, allo stesso tempo, essere sottovalutata le fa gioco: stai dichiarando implicitamente di credere molto più nelle tue capacità?
Io cerco di diventare più sicura e così anche Teresa o, per lo meno, metto in bocca a lei qualcosa che desidero. Sto cercando un maggiore equilibrio e consapevolezza: non voglio sottovalutarmi e nemmeno sopravvalutarmi.
Ci vuole del coraggio per dire “io valgo”. Mi spaventa l’idea che se un giorno lo dicessi, mi potrebbe arrivare il classico fulmine in testa, tipo “hybris” greca. Far finta d’essere diverse da ciò che si è, aiuta ad essere accettate: in Teresa c’è molto mascheramento.
[Intervista tratta dalla serie #raccontididonne di donnad.it]